Seguendo come musa ispiratrice la mia famiglia mi è venuto spontaneo pensare ad una sorta di inno al Natale e alla famiglia, nella sua più pura e autentica imperfezione. Col senno di poi, penso possa rispecchiare una buona fetta dell’ordinaria atipicità della famiglia media italiana (specialmente al Sud).
Buona lettura e Buon Natale a tutte le splendidamente folli famiglie del mondo.
Ogni volta che arriva Natale penso un po’ di più alla famiglia e mi si abbozza la smorfia di un sorriso, sincero e rassegnato, ma in un senso tenero del termine.
Ripenso alle spasmodiche, allarmanti corse per allestire il cenone. Alle puntuali idee discordanti, sulle più aberranti questioni. Alla infinita, poco democratica diatriba sulla stesura del menu. Alla competizione mondiale degli struffoli, e alle opinioni culinarie a rischio di esilio dalla patria.
Penso al militaresco addestramento e allo studio tecnico e puntiglioso per la creazione di un buco nero nello stomaco che faccia fronte all’interminabile, bellicoso convivio natalizio. Poi c’è il tentativo numero duecento della (rullo di tamburi) foto di famiglia, durante la quale ci sono sempre i dispersi, i feriti di guerra, quelli dalle guance a palloncino pre-ingerimento cibo, quelli dall’espressione “chi me l’ha fatto fare”; poi c’è l’unico ottimista o il veterano dal ghigno soddisfatto, e infine, praticamente tutti, che disperdono sguardi ovunque tranne che verso l’obiettivo.
Ci sono genitori e bambini, rigorosamente sull’ascia di guerra per la fremente attitudine di quest’ultimi a congedarsi dalla tavola prima della “fine” del cenone… che poi, di fatto, sembra non avere mai un reale apice.
E come dimenticare il sacro momento in cui si recita la poesia, che oscilla – a seconda del bambino in questione – tra quel filo di imbarazzo rotto da un corale incitamento da stadio e l’audacia e la prepotenza mussoliniana di chi già si erge su di una sedia a sovrastare le voci di rimbalzo dei più entusiasti.
Tutto si impasta indistintamente, etereo, nell’aria: l’odore di fritto che trasuda dalle pareti, i refoli intermittenti prodotti dai bimbi che balzano qua e là, le parole inghiottite per l’occasione e quelle dette col cuore in mano, gli scatti felini per alzarsi dalla sedia a controllare cosa frigge sul fuoco, il vociferare che si intreccia e si ingarbuglia incomprensibile, l’atmosfera che si accende di Natale, coi dovuti tempi e gli animi che si placano dopo l’agonizzante nervosismo per la disorganizzazione cronica pre-natalizia. Insomma, il Natale ricorda un po’ un disastro pari ad un evento che preannuncia una qualche battaglia, in questo caso in campo amico.
Eppure ognuno ritorna al fronte, ogni anno, nonostante la tentazione di scappare via. Ogni volta è un dejavù, quelli nuovi siamo noi, ogni volta con sentimenti diversi, cambiati, migliorati, peggiorati, invecchiati e forse più o meno suscettibili.
Se non ci fosse il Natale forse perderemmo l’occasione di insultarci, di volerci bene, e poi di divenire di nuovo intolleranti per poi pentirci di aver litigato su questioni stupide.Solo se un anno mancasse il Natale, ognuno si renderebbe conto del vuoto in cui potrebbe precipitare.
Grazie al Natale, grazie alla mia famiglia, per colmare, nel suo personalissimo modo, questo vuoto.Buon Natale 2019.