Il nostro nuovo amico autista che ci porterà a Mandawa si chiama Rajesh. Ha un paffutto faccione simpatico e due occhi ridenti che ci comunicano cose buone. Speriamo bene.

Da Delhi per Mandawa sono circa 5-6 ore di macchina.
Il viaggio non risulta troppo lungo se poi andando si finisce per cantare “io sono italiano” di Toto Cutugno.

Rajesh ha impostato, infatti, una play list con le “best Italian songs” per noi. Ne approfittiamo per chiedere qualcosa in più sulla cultura locale.

Per la cultura indù le mucche sono sacre, così come il loro latte, ed è per questo che non mangiano carne di bovino, eccetto i musulmani. Dunque, se c’è qualche macelleria in giro, è di certo musulmana.

Scopriamo, inoltre, che il segno che recano in fronte sia non solo legato alla religione, ma un segno distintivo che le donne sposate hanno.

Lungo la strada scorrono, veloci, sconfinate distese gialle di senape, camion dalle facciate colorate che sembrano addobbate a carri di carnevale e diversi campi dove si lavorano mattoni d’argilla.

Saltiamo giù dall’auto chiedendo a Rajesh di fermarci laddove intravediamo donne che trasportano mattoni, col volto coperto da un velo che le rende anonime (pratica old style Indù, come segno di rispetto verso gli uomini di età maggiore).

Sotto quei volti lucenti sorrisi e sguardi. Bambini curiosi, bambini intimiditi, piedini sporchi e liberi, pensieri spensierati e puliti. Lavoro, tanto lavoro poi, senza peso sul cuore. Rubacchiamo foto qua e là e strette di manine ruvide e di occhiatine affabulanti.

Mandawa è maggiormente una tappa di transito per ripartire per Bikaner.
Tuttavia, quando uscite per la cittadina, o vi spacciate per musulmani indossando il burka, altrimenti tenete conto che, ogni minuto, comparirà magicamente qualche ragazzo indiano che parla la vostra lingua e vi intrattiene in conversazioni per vendervi qualcosa.

Alloggio:
Hotel Heritage a Mandawa. Si presenta come la coloratissima copia di un tempio. Un atrio, che appare suntuoso per i dettagli e i dipinti colorati, conduce alla reception. Le due piante dell’albergo sono sprovviste di tetto; mi piace pensare romanticamente “vista cielo”. Se non fosse per il freddo e la foschia che dicono essere molto frequente in questo periodo di gennaio (soprattutto sera e primo mattino). A scaldare la serata un fuoco accesso al centro dell’atrio vista cielo e una calda chiacchierata con un giovane e animato gruppo di studenti d’architettura dei dintorni di Delhi, che alloggiano qui. È bastata un’ora a parlare con loro, affinché una delle ragazze ci invitasse al matrimonio della sorella.