Nay Pyi Daw, l’attuale capitale del Myanmar, si presenta come un palcoscenico vuoto, senza pubblico. E’ come se ci fosse solo un “dietro le quinte”, ovvero uffici amministrativi e case d’impiegati che vi lavorano. Non l’ombra di un turista, nè il sentore lontano della dinamicità che coinvolge, invece, Yangon. E’ una ghost town ed è per questo che facciamo tappa qui per qualche giorno, per la curiosità di scavare a fondo ad una realtà che ci appare insolita e che fotograficamente parlando per Vito si rivela interessante tanto da fargli realizzare un lavoro proprio su di essa e che è visitabile sul sito: http://www.vitofusco.com/web/reportage-myanmar-naypyidaw/
Capitando in giorni di tempo nuvoloso e piovoso, con un’aria alquanto frizzantina, la città ingrigita ci appare ancora più piatta e insipida.
Nay Pyi Daw è divisa a zone maggiormente. Tant’è vero che il ragazzo dell’agenzia del bus col quale siamo giunti qui, ci consiglia di fermarci nell’Hotel zone, sapendo che non avevamo un posto dove alloggiare.
Scesi dal bus entriamo in modalità vagabondi, perchè ci rendiamo presto conto che siamo nel bel mezzo del nulla, senza scorgere da lontano neanche la sagoma di un taxi. Poche macchine scorrono lungo ampie strade vuote e kilometriche, ed ogni tanto qualche resort, ma solo ben sistemati e piuttosto grandi. Niente a che fare con le solite guest house dove alloggiamo, ma ci sembra essere l’unica soluzione. E così ne scegliamo uno che sembra essere meno caro, Myat Daw Win e neanche a programmarlo si trova di fronte al Junction Center, un piccolo centro commerciale, che ci offre almeno uno spiraglio vitale, in uno spazio indipendentemente percorribile, dove poter andare a mangiare qualcosa o quantomeno stare in mezzo all’umanità (una parte di essa chiaramente) della capitale. Per raggiungere gli altri centri vitali è l’albergo che ci fornisce un taxi.
Per raggiungere gli altri centri vitali è l’albergo che ci fornisce un taxi.
Ed è proprio in questo modo che, dopo aver insistito per poter avere un tassista che parlasse un po’ di inglese, col quale riuscire quantomeno a comunicare un minimo, conosciamo il nostro amico Naing Oo. Ancora ad oggi che siamo nel lago Inle, mentre scrivo questo post io e Vito pensiamo ancora a lui, a cosa stia facendo. Pensiamo alla sua famiglia che ci ha ospitati a casa loro e offerto del caffè, nel loro villaggio, mezz’ora distante dall’ area dell’Hotel zone di Nay Pyi Daw. Ci ha accolti quasi fossimo qualcosa di sacro, con quel loro fare rispettoso e sommesso quasi imbarazzante, tanto che cerchiamo in qualunque modo di amalgamarci a loro e al loro modo di fare per far capire quanto siamo esattamente alla pari, non un gradino al di sopra ma al massimo al di sotto. Conoscono più segreti di vita di quanti possiamo mai saperne noi, che viviamo una vita nel totale benessere e non siamo mai felici.
Naing Oo era quasi imbarazzato per il fatto che la sua casa fosse umile, e che il bagno fosse un ennesimo buco scavato nel terreno. Eppure, il solo fatto che, prima di andare in bagno, la sorella è andata a pulirlo appositamente per permettermi di usufruirne lo faceva apparire un bene lussuoso ai miei occhi. Ci confessano che siamo i primi ospiti stranieri che accolgono in casa loro, e questo li rende probabilmente ancora più a disagio. Non parlano inglese chiaramente, e come con ogni persona qui, cerchiamo di farci capire a gesti, suoni simili, smorfie o qualunque cosa possa rendersi utile per abbattere le barriere del linguaggio.
Vivono tutti insieme in un unica casetta. Naing Oo ha perso la mamma due anni fa per un cancro, vive quindi col padre, la sorella, la nipote ed il fratello di 22 anni già sposato con moglie e una bimba meravigliosa, dalle guance paffutissime e due occhi che ridono rumorosamente.
Il nostro amico tassista è stato un paio di giorni portandoci in giro. L’abbiamo invitato a pranzare con noi ed abbiamo condiviso un po’ di chiacchiere e ilarità, ma probabilmente l’abbiamo anche fatto esaurire tra una tappa e l’altra a scattare foto. Tant’è vero che alla fine ci siamo affezionati in poco tempo e abbiamo pensato di salutarlo regalandogli un dolce comprato nella bakery all’interno del Junction Center, immaginandoci che l’avrebbe condivisa e gustata con la famiglia come un qualcosa che non sono soliti mangiare spesso.
Questo è il ricordo più vivo di tutto nella Nay Pyi Daw prorompente di silenzio, di zone desolate, di vedette sparse della polizia, di stradone a 20 corsie praticamente vuote ed edifici che si specchiano su laghetti abbracciati dal verde, adibiti per impiegati statali.
Insomma non può essere altro che una zona di passaggio per i più curiosi, ma come per tutte le cose il segreto è sempre di scavare a fondo, altrimenti si rischia di rimanere sulla superficie delle cose senza toccarle.