Purtroppo, il primo approccio con Yangon è stato da malata febbricitante.
Tuttavia mi preme parlare della guest house che abbiamo prenotato tramite Air B&B, a cui sono stata infelicemente affezionata per tre giorni, giacendo a letto. In Myanmar è pieno di guest house, spesso a gestione familiare, che pur essendo tante volte umili, sono al contempo molto accoglienti.

Si chiama Shannkalay (12 euro a notte, camera doppia) ed è situata nella zona della Downtown di Yangon, nella 49th street.IMG_E8767Chiaramente le camere sono piccole e devi fare affidamento nient’altro che al condizionatore (perché finestre non ce ne sono), i bagni in comune e giù nella reception c’è un terrazzino piacevole con sedie e banchetti a muro che si aprono all’occasione per fare colazione, un frigorifero a disposizione e per giungere alle camere qualche piano di scale.
Qui abbiamo conosciuto Paw Paw, il dolcissimo proprietario di questo posto, che si è sempre messo a disposizione. Quando abbiamo stretto contatto con lui tramite facebook, ha dichiarato fosse la prima volta che “aveva due amici stranieri sul social network”. Aveva una felicità così spontanea sul viso che seIMG_E8869mbrava aver vinto la lotteria. E’ questa l’incredibilità di cui parlo.

Dopo tre interminabili giorni chiusi nella stanzetta soffocante di questa guest house, respirare aria fuori sembra quasi un dono. Tornati dall’ospedale ed io ben imbottita di antibiotico per endovena, inizio finalmente ad essere un tantino più lucida per visitare la città.

L’impatto iniziale con Yangon non è stato facile. Non ero mai stata in Asia, questi odori penetranti, lo sporco generale, le abitazioni in combutta tra di loro, tra antico e moderno, degrado e rinnovo, dimore che sanno un po’ di giungla, perse nel verde di questa fitta vegetazione di alberi che vive tra le case, che colora di verde e di natura. E’ un po’ IMG_E8789rappresentativo, d’altronde. Questo senso di selvaggio, rurale, naturale è insito in questa gente.

Le persone sono, come sempre, il motivo portante per cui mi innamoro, in misura minore o maggiore, dei posti in cui vado. E finora le persone mi hanno catturata in modo ineffabile. Sono cordiali, dolcissimi, gentili, ma cosa più bella: sono di una semplicità disarmante. Non danno nulla per scontato, né minimamente credono che qualcosa gli sia dovuto, ma sono sempre sul chinare il capo con immensa umiltà, per aiutarti o in segno di rispetto. Sorridono sempre, e se ricambi il sorriso o gli sorridi per prima per loro è un gesto che ha una data rilevanza, non è banale. Mi hanno antropologicamente attirata, e ho una profonda voglia di continuare a studiarle, per capirle, per poter apprendere da loro come fare – di quello che l’uomo occidentale più comune considererebbe una banalità – un dono prezioso.

Ciò ho percepito di Yangon si affranca un bel po’ da quello che, prima di venire qui, ho visto, scritto o letto su guide. Ergo, non posso evitare neanche di dire che Yangon è un’ ennesima Napoli caotica, con traffico a iosa, clacson che sovrabbondano nell’aria come una macchinetta di pop corn che sta per scoppiare. I semafori?! Ogni tanto vengono rispettati, ma non azzardarti ad attraversare col rosso che sono pronti a buttarti sotto senza pietà!
Yangon è anche le bancarelle di street food che pullulano per le strade, ovunque, con quei curiosi, microscopici tavolini per bambini disposti per mangiare, che all’improvviso ti senti o ringiovanito di anni o uno dei sette nani di biancaneve, ma è pur sempre bellissimo. img_8855.jpgYangon è l’odore della frittura, che sei uscito “pulito” e puoi dire di aver appena fritto le zeppole di Natale. Yangon sono gli uomini e le donne con le longyi colorate, eleganti, che sanno di tradizione. Yangon è un manto di corvi neri che sorvolano la città e gracchiano e gli uomini che sputano a terra di continuo. Sono soliti masticare una sostanza avvolta in delle foglie che in bocca diventa rossa, ecco perché spesso puoi notare per terra macchie di questo colore.
Non ci sono molti turisti qui, anzi a dir la verità siamo tra i pochi, sarà per questo che la gente ci guarda divertita ed incuriosita, soprattutto il primo giorno in mezzo al mercato, quando chiunque ci seguiva con lo sguardo quasi fossimo alieni e ricambiavano il nostro “minglabar” con gusto. Per noi sono loro, invece, che sono alieni. Che hanno ciò che in molte persone dalle nostre parti si sta estinguendo. Perciò non smetterò mai di dirlo: belli, belli, belli…così come sono!