Il secondo giorno siamo ancora più in forze, tant’è che stendiamo un programma piuttosto ambizioso sul da farsi.
La mattina ci IMG_E8792.JPGsvegliamo intorno alle 5 per poter vedere l’alba dalla Circle line, (200 kyat a persona) un treno che circumnaviga Yangon, effetto moviola. Impiega tre ore circa e apre su vari scenari della vita mondana della città, i più comuni e i più bucolici.
Il treno si riempe di gente anche la mattina presto, ma probabilmente non quanto gli orari più tardi, ed è saturo di merci oltre che persone, poiché la mattina la gente lo prende per andare a fare il mercato.IMG_9182.JPG Ci siamo tutti: noi, le merci, la gente locale, i monaci con le loro vesti rosse, i venditori che passano e spassano tra i vagoni e le porte sempre aperte del treno in corsa. Beh, in corsa per modo di dire.
Qua e là puoi sempre fare il pieno di bimbi, manine che ti salutano e sorrisi, sempre.
Dunque…consiglierei la Circle line? E’ da fare proprio la mattina presto, a tempo perso, di modo che poi hai tempo di vedere altro, e magari nel frattempo di chiacchierare nel treno per progettare il resto.

Allora, qual è l’altro vero must? La Shwedagon Pagoda, è ovvio. Non che abbia visto IMG_E8783molte pagode nella mia vita, ma la Shwedagon è brobdignagiana. Si estende maestosa e vanitosamente dorata sopra di lunghe gradinate di scale, che sembrano essere l’ennesimo emblema di qualcosa: l’ascesa, la trascendenza, la catarsi, il cammino verso il Nirvana, chi può saperlo. Sta di fatto che è il luogo di culto preferito per la gente locale. Viene qui e prega, magari alle pendici di nicchie che rappresentano il proprio giorno di nascita o nelle piccole cappelle dedicate ai Budda.Si pensa che la Shwedagon risalga a circa 2500 anni fa, ma il suo stupa è stato più volte ricostruito fino ad arrivare ad oggi all’altezza di 98m.

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Come ogni culto che si rispetti anche in questo caso la leggenda vuole che… e quello che abbiamo potuto capire è che un capello di Budda può tante cose.
Come può far presumere tutto quell’oro sbrilluccicante che la ricopre, l’ingresso se lo fanno pagare non poco: 10.000 kyat a testa.
Sotto la luce del sole che la dipinge la pagoda è un formichiere di gente. Cammino e le persone mi guardano, accade così spesso tanto che mi chiedo cosa li incuriosisca, forse lo “straniero” in sé, (la diversità incuriosisce sempre) il fatto che il Myanmar non sia ancora un luogo così turistico.

Questo fino a chIMG_E8785e le ragazze iniziano ad avvicinarsi per fare foto con me. Io le accontento piuttosto imbarazzata e confusa e piano piano che proseguiamo la cosa diventa virale. Ciò mi diverte e mi imbarazza al contempo, perché inizio a pensare che mi abbiano scambiata per una qualche celebrità qui nota e vorrei tanto spiegar loro che hanno sbagliato persona, ma non riesco a comunicare in nessun modo. Dopo essermi goduta il mio “attimo di celebrità” ci congediamo dalla Pagoda per tornare a Sule Road.

Tornati dalla pagoda, una pausa pranzo, giusto per essere veloci e perché nelle vicinanze non c’era molto, ci fermiamo a mangiare un ottimo cheeseburger in una catena, Lotteria, (3000\ 4000 kyat a panino) sempre vicino zona Sule Pagoda.
Subito dopo ci incamminiamo verso il porto per prendere il traghetto per Dala, dall’altra parte del fiume. Prossima tappa: Twante.
Il porto si trova alla fine di Pansodan Street e si ci arriva dopo aver attraversato un cavalcavia o eventualmente rischiando la vita attraversando la strada nel mirino di IMG_E8844autisti irrequieti pronti a travolgerti.
Giunti qui, la nostra fortuna è stata di incontrare nel giro di pochi minuti GiùGiù, una giovane donna indiana, pienotta, dagli occhi grandi e bugiardi che nascondevano tante cose, ed una vivacità e spigliatezza che ci ha subito travolti. GiùGiù si è proposta come guida tra i villaggi oltre fiume. Era la persona che parlava il miglior inglese di tutte quelle che avevamo incontrato finora. Cerchiamo di contrattare un po’, ma alla fine sono stati i kyat più ben spesi degli ultimi giorni.
Giro totale in taxi per i villaggi: 50.000 kyatIMG_E8798.JPG
Guida: 20.000 kyat
Troverete molte guide pronte a marcarvi strette, ma GiùGiù è stata davvero incredibile e se vi capitasse di andare lì provate a fare il suo nome, ne vale la pena.
Purtroppo non ha un biglietto da visita e non può frequentare corsi per ottenere la licenza di guida turistica, perché i genitori non ci sono più e lei deve lavorare per mantenere fratello e sorella più piccoli. Tutti la conoscono in giro e lei sa bene come muoversi e dove guidarti. Insieme all’autista di un taxi ci porta per strade sterrate in mezzo a villaggi incantevoli, umili, bucolici.
IMG_E8810Prima tappa: Mwe Paya, il tempio dei serpenti. Camminiamo su una stradina delle quattro che diramano perpendicolarmente congiungendosi al tempio, giacente al centro del laghetto. Il tempio è di modeste dimensioni e ha degli ospiti molto speciali. Una serie di grossi pitoni giacciono su mensole sopra le finestre, celandosi tra le fronde e alle pendici dell’albero attorno al quale sono sedute placidamente le statue di quattro budda. Le monache buddiste sono lì a sorvegliarli. Questi pitoni hanno una dieta speciale, IMG_E8803“vegetariana”, non danno loro carne per renderli pacifici nei confronti delle persone. Si nutrono principalmente di latte e riso.

Proseguiamo il tour in una Ceramica locale dove stanno lavorando l’argilla in capannoni di luce soffusa e zeppi di grossi vasi da fiori, molto semplici, senza alcuna particolare decorazione , perché ne producono centinaia al giorno. Due IMG_E8819anziani mingherlini, un uomo ed una donna, seduti a terra cingendo un grosso vaso, lisciavano l’argilla ed un uomo più giovane affondava le dita su di un’altra forma in trasformazione. Dopodiché tutto finiva in un forno verticale a cui demolivano e ricostruivano l’ingresso ogni volta per cuocere le ceramiche.
Un altro capannone, generalmente adibito alla conservazione delle ceramiche, era adesso libero per le cerimonie del capodanno e donne e bambini in special modo erano lì in comunità, a mangiare grossi pentoloni di riso.

Una breve tappa, poi, in una tessitoria artigianale, dove due uomini erano seduti di fronte a questi grossi telai che muovevano agitando i piedi, stile Perù ma aIMG_E8830 colpo d’occhio più veloci. Lì decido di comprare una longyi artigianale, visto che ci siamo, tanto per amalgamarci un po’ alla cultura locale, dato che ci guardano sempre stile “E.T telefono casa”.

GiùGiù ci guida poi a Dala, presso un villaggio di rifugiati, per il quale lei stessa si prodiga e dove ormai la conoscono bene. Era un villaggio di pescatori che vivevano a sud di Yangon prima che uno tsunami li colpisse. Il governo li ha congedati dalla costa, senza ricostruire le dimore, stabilendovi invece delle industrie di pesce. Queste persone si sono rifugiate in un lembo di terra vicino ad un cimitero, cercando di arrangiarsi come possibile. Fino a poco tempo prima non avevano neanche i servizi igienici, prima che dei turisti francesi vi facessero costruire dei bagni. Attualmente sono ancora lì nonostante le iniziali opposizioni del governo a quest’ iniziativa.
IMG_8851Certo, qui a Yangon soprattutto non c’è nulla di particolarmente inusuale a vivere in baracche arrangiandosi con poco e senza elettricità, ciò che più sa di ingiusto è il fatto che siano stati praticamente espatriati da un posto che sentivano come la loro casa.

Come in molte occasioni, più la gente è immersa nell’umiltà più sorride cordiale e solare. I bambini, sempre impastati di quella sostanza fangosa, argillosa, che spesso usano come protezione contro il sole, sorridono anch’essi a denti larghi, è una costante. Agitano la manina per dirti ciao e ti vengono dietro dietro, per elemosinare non soldi, ma attenzioni, sorrisi, affetto. Vorrei poter parlare la loro lingua adesso. I gesti solo possono aiutarti in questi casi purtroppo. Eppure riesco a farmi capire, almeno un po’. I bambini in genere parlano un linguaggio semplice, e la fantasia aiuta. Così cerco di adottare il metodo del gioco, che ben o male ogni bambino di ogni razza o ceto che sia, apprezza. Noto subito che vogliono darti la mano, battere il cinque. Cercano un contatto, carnale, vero. E’ da qui che prendo spunto per improvvisare un giro tondo, che loro stesso mi insegnano nella loro lingua. D’altronde si sa, dai bambini non si finisce mai di imparare…