Sonnecchiando nel bus che ci ha prelevati all’hostal con 40 minuti di ritardo alle porte del buio, ci dirigiamo verso il Colca. Il tour prevedeva anche diverse tappe per mangiare, prima tra tutte il “desajuno” al quale giungiamo verso le 8 del mattino. Qui lunghe tavolate ci hanno accolto, con altri giovani ragazzi con cui abbiamo iniziato ad approcciarci. La colazione è stata molto semplice: tè caldo e pane con burro e marmellata (la loro marmellata di fragole è buonissima). Più che altro è stato un pretesto per iniziare a conoscersi, ad avvicinarci alle esperienze di altri ragazzi in viaggio da più tempo di noi, di nazionalità varie ( da tedeschi ad inglesi fino alla Svizzera), ognuno con la propria storia ed il proprio background.

La guida che ci ha condotti in quest’avventura era un peruviano integralista, molto legato alle proprie tradizioni e preparato in diverse lingue. Juanito si è presentato a noi col sorriso luminoso di chi è felice di vivere con la semplicità dei costumi antichi, facendo a meno delle comodità. A differenza degli altri era vestito di una maglia e un pantalone di quelli tipici peruviani, un cappello di paglia con una piuma e un fagotto fatto con un telo dove trasportava giusto l’essenziale per bere, mandarini e foglie di coca.Le foglie d_DSC4728i coca venivano utilizzate dalle popolazioni andine per combattere la fatica e disturbi legati all’altitudine; per loro quindi è una pianta ad uso medico, è legale e la vendono al mercato senza problemi (cosa che a noi appare alquanto strana).

Prima di iniziare il percorso a piedi ci fermiamo a vedere il volo del condor da un mirador. Lo sguardo annega nella profondità del Canyon, rivestito da una luce che rende le_DSC4158 montagne spigolose. Siamo fortunati a vedere il volo di questi uccelli neri dalle lunghe ali che si incrociano nel blu che solca il canyon lasciando nella conca l’eco del loro verso. Siamo fortunati perché il sole arde nel cielo, quando in realtà sarebbe la stagione delle pioggie, e dunque il rio è più placido e i colori meno verdi del solito, perché l’assenza dell’acqua piovana lascia secco l’ambiente.

La camminata inizia ed è solo il principio di circa 25 km che in due giorni di trekking ci attendono tra le scivolose discese del sentiero sterrato e le aspre salite ad alti gradoni. Juanito cammina a passo spedito e deciso, e noi dietro lo seguiamo tra un’accenno di scivolata e l’altro, lungo strettoie con null’altro che uno strapiombo al lato. IMG_8297

Lungo il cammino qualche pausa qui e là per un breve excursus delle guida o per rifocillarci presso bancarelle che ci attendono con bibite, frutta e barrette energetiche. Il sole picchia così forte che non avendo cappelli improvvisiamo una fasciatura stile talebano con la sciarpa avvolta in testa e bagnata in una delle fresche sorgenti sgorganti lungo la via. Meglio non dimenticare la protezione poi, che funge praticamente da salvavita. Per il repellente invece Juanito ci ha mostrato come gli Inca utilizzassero delle erbe profumatissime per allontanare gli insetti.IMG_8314

Ci fermiamo a mangiare in un piccolo villaggetto in mezzo al verde, e 10 minuti prima di ripartire ci distendiamo su di un praticello usufruendo dell’ombra di una tettoia che copriva un tavolo. In marcia di nuovo e dopo una lunga traversata di più di 15 km anche solo intravedere l’oasi dove dovevamo alloggiare ci sembra un miraggio nel deserto. È molto rustica e carina, con una piccola piscina e graziose capanne ricoperte di paglia dove trascorrere la notte. Un bagno prima che il sole lasci spazio all’ombra delle nubi sospinte da un venticello pungente e poi crolliamo nella capanna finché non si fa quasi ora di cena. IMG_8324

Tra un aperitivo e la cena chiacchieriamo col gruppo di ragazzi che ha camminato con noi, compattando un gruppo di persone piacevoli con cui scambiare informazioni, stralci di vita, viaggi e battute. Questa è stata la più bella conquista del trekking, oltre la sfida coi propri limiti, la sopportazione fisica delle difficoltà, tra ossigeno in calo e muscoli imploranti pietà. La più bella conquista è stata aver condiviso con gli altri, poter portare con noi il ricordo di un piccolo pezzetto della bellezza altrui. Questo ci da’ ancora più forza per affrontare la scalata della mattina seguente, sobbalzati dal letto alle 5 del mattino. Questa volta non ci sono pause nè dolci signore peruviane che ci attendono con cibo e acqua, ma solo una lunga, aspra ed interminabile salita verso la cima. Dopo una serie di stenti, gambe traballanti, ansimi, e brevi pause forzate, essere arrivati alla cima sembra piuttosto essere arrivati sull’olimpo degli dei. Coroniamo questa vittoria con una bella foto di gruppo IMG_8360insieme a Juanito e percorriamo gli ultimi metri attraverso i campi di grano per andare a fare colazione col famoso “huevo revuelto” (l’uovo sbattuto all’inglese) e il loro immancabile e morbido pane. Qui con rammarico dobbiamo salutare Juanito che tornerà all’oasi, lasciandogli i contatti di ognuno di noi.

Ritornando verso Arequipa il tour ci porta a fermarci in varie tappe, tra mirador da togliere il fiato e le acque termali naturali, fino ad un ristorantino in cui veniamo accolti da un ricco bouffet di cibo, di fronte al quale, affamati come se non mangiassimo da giorni, si rivelano i nostri istinti animali famelici. Saturi e appagati aspettiamo che il bus riparta e nel frattempo ci scambiamo i contatti coi ragazzi approfittando del wifi del locale.Torno a casa più contenta perché finalmente ho assaggiato il tanto bramato “arroz con leche” (il riso con latte), un loro dolce tipico che usano mangiare assieme ad una sorta di crema di frutta chiamata mazamorra morada.

Arrivati a destinazione salutiamo i nostri amici con la promessa di mantenere un contatto e ci dirigiamo in hostal solo per posare le valigie, perché il biglietto per Puno per l’indomani è ancora in sospeso. Alla fine prenotiamo ( a prezzo chiaramente più alto, causa commissione agenzia) in Plaza de armas un biglietto con un bus locale della compagnia Julsa, comunque più economico di Cruz del Sur, che parte alle 8 del mattino e andiamo a cenare per l’ultima volta in Arequipa, abbandonando con triste rimpianto quelle enormi e seducenti torte che più volte ci hanno condotto nel girone infernale dei golosi. Ci tocca solo riorganizzare le valigie per lanciarci nella piccola Puno dalle ricche e consolidate tradizioni popolari, a quanto ci hanno detto. Ci addormentiamo con la curiosità che preme insidiosa sul nostro sonno.