La mattina oggi non inizia splendidamente. Purtroppo abbiamo dovuto fare un’aspra concessione di tempo per risolvere dei problemi con la carta di credito. La mattinata dunque è volata via tra una banca e l’altra. Ma nel pomeriggio ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo recuperato il tempo perduto nella visita ai più caratteristici luoghi di interesse, primi fra tutti la cattedrale.
Abbiamo scoperto finalmente che le guide peruviane sono probabilmente così preparate perché sono studenti che fanno questo a titolo gratuito, ripagati solo dalla mancia che i turisti lasciano soddisfatti del brillante excursus storico fornito.
La cattedrale è piuttosto estesa e all’interno è conservato l’organo più grande del Perù, da 6cm (la più piccola cannula) a 12m (la più grande). In alcune stanze sono conservati i fastosi abiti dei vescovi ed altri oggetti in oro, che sembra essere il metallo per loro più prezioso. Perfino le vesti vescovili avevano dei ricami in puro oro e per questo arrivavano a pesare anche 20 chili.
Sul tetto panoramico grosse campane di varie tonnellate, che portano anch’esse insieme al complesso della cattedrale le cicatrici dei terremoti piu devastanti ad Arequipa. Parlo dei più devastanti perché pare che in questa meravigliosa città ogni giorno ci sia un terremoto piuttosto iniquo che quindi non viene avvertito.
La cordiale coppia limena con cui abbiamo condiviso il tour in cattedrale ci ha poi suggerito di non perderci la visita al museo della cultura inca. È stata una visita illuminante sui costumi e le usanze di questa popolazione, dettate per lo più dalla superstizione. Un breve video ci ha introdotti alla loro storia e a quella di archeologi che secoli più tardi hanno scalato i vulcani di Arequipa portando alla luce corpi seppelliti e ben corservati sulla cima ghiacciata di quest’imponenti montagne. Sacrificavano giovani fanciulle (le più belle e le più intelligenti) per assicurarsi la benevolenza degli dei. Le tramortivano con un forte colpo sul cranio e le sotterravano insieme a numerosi oggetti votivi in ceramica. Solo parecchi anni dopo, quando i ghiacci si sono sciolti in seguito al calore promanato dalle fumarole di uno dei vulcani, hanno potuto trovare Juanita, una delle fanciulle sacrificate, attualmente il corpo meglio conservato, la cui storia ti lascia oltre il mistero anche quel velo di tristezza.
Dopo un viaggio nel buio e attraente mondo degli inca nelle fredde stanze del museo (purtroppo non siamo riusciti a vedere Juanita, disponibile al pubblico da marzo a dicembre) siamo andati a rifarci gli occhi tra i colori del mercato. Un’ampio spazio dove si incastravano gli uni gli altri innumerevoli banchi di frutta, verdura, carne, pesce, spezie e quant’altro mescolando nell’aria forti odori e il ronzio delle mosche che sorvolano fameliche. Rubiamo qualche scatto qua e là, anche perché i colori son molto vivaci e il quadro completamente diverso dal nostro.
Un panino al volo, una pausa in hostal per prenotare il trekking al canyon del Colca per il giorno seguente e corriamo giù al monastero di Santa Caterina per goderci questa “città nella città” prima che si chiudano le porte (cioè alle 6 del pomeriggio). Sarà per l’orgoglio verso quest’incantevole luogo di clausura delle monache, ma il biglietto per la visita non è di certo economico. Tuttavia non possiamo dire che non ne sia valsa la pena, anzi. È proprio una cittadella, dipartita in vie ognuna col proprio nome ed edifici colorati con forti tinte dal blu al rosso. La guida poi ci fa affacciare al mondo delle monache che qui conducevano la loro crescita spirituale e alle rigorose norme che dovevano rispettare, le stanze in cui dormivano e la prima grande cucina in comune.
Per chiudere in bellezza la visita una bella sbirciata alla città dal punto panoramico del monastero. Pieni della vitalità e bellezza arequipena abbiamo concluso la serata con un bell’aperitivo sulla terrazza dell’hostal, che era già nei piani perché sarebbe stato un rimpianto non farlo. Una biretta (la cusquena, che abbiamo apprezzato tantissimo) due patatine e popcorn, di fronte alle luci di case e palazzi spalmate tutte dintorno e alla luna che contornava l’atmosfera con un pizzico di magia in più.
Scendiamo in stanza e cerchiamo di organizzare lo zaino con le cose per il trekking, ma facciamo tutto in modo così veloce e con l’abiocco dispettoso del sonno che ci dimentichiamo di portare capelli e una t-shirt di ricambio. Dire che poi siamo andati a “dormire” è ottimistico, perché i nostri occhi hanno visto il buio per poche ore, per poi risvegliarsi alle 3 del mattino pronti a imbarcarci sul bus per il Colca.